Racconto archetipico Rosso

Era poco più di una bambina. Anche se aveva uno sguardo serio e attento che tutto osserva che la faceva sembrare molto più grande, e al contempo si portava addosso l’impronta di un’innocenza e di una purezza senza età.
In ogni caso, era spaventata e confusa. Erano diverse ore che vagava sola nel cuore dell’Antica ForestOscura e ormai si stava facendo buio. Il suo inseparabile destriero grigio, con una macchia nera a forma di stella sul muso buono, si stava stancando di continuare a galoppare senza una meta. Che confusione, nella testa e nel cuore. “Decidi tu dove andare, mio fedele amico, perché io proprio non lo so!” pensò, al limite della disperazione, la giovane. E quasi per confermare la sua decisione alla non decisione, con un solo agile movimento si voltò sul dorso del suo destriero e si sedette al contrario, dandogli le spalle e incrociando le braccia al petto. Con quel suo caratteristico broncetto dalla fronte aggrottata e le labbra sigillate all’ingiù che la rendevano ancora più simpatica. Anche nello sconforto vero e profondo. Pronto e rapido come sempre, il destriero rispose con un sol pensiero: “Se ti manca anche solo l’intenzione di guidarmi, io non sono in grado di proseguire, perché non posso trovare la strada senza di te.” Sbuffando irritata dalla solita saggezza che il cavallo mostrava, la ragazzina saltò giù con un balzo da amazzone consumata e mosse qualche passo iroso nel fitto della Foresta. Poi, con un doloroso gemito di bestia ferita, si rassegnò e si lasciò cadere a terra. Lentamente, si trascinò con le unghie aggrappate alla terra umida, fino a sedersi con la schiena appoggiata all’enorme tronco di un’Antica Quercia Centenaria, sacra e maestosa, che incuteva timore, rispetto, dignità, ma anche familiarità. La piccola cercava in qualche modo di riposarsi e di raccogliere i pensieri ammassati come nubi minacciose. Un piccolo Ragno nero, rosso e viola, dalle sottili zampette pelose, scivola sul dorso della sua mano, facendole il solletico …

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Improvvisamente, le radici dell’albero mi prendono, mi avvolgono e mi trascinano sotto terra. Sono radici oppure artigli affamati quelli che afferrano d’improvviso le mie gambe e mi trascinano giù, sempre più giù, fra i piedi dell’albero, dentro le sue vene, nella sua carne sotterranea, in un nero cunicolo che pare senza fine, un precipizio di terrore, sangue, graffi di memorie sconosciute?
Contemporaneamente, mi sembra di scivolare sempre più in profondità attraverso uno stretto tunnel di terrascura umida, nutriente, sicura, protettiva come il Grande Utero Materno. Al termine della caduta, mi ritrovo in acqua, nelle profondità marine…e mentre nuoto a lungo sott’acqua ora mi sento inspiegabilmente felice e serena come un pesce giocoso, come una sirena ridente. Quando mi sembra di dover metter fuori la testa per riprendere il respiro, ecco che sbuco all’interno di un’ampissima grotta sommersa o forse si tratta di numerosi cenotes concatenati fra loro, come in un antico labirinto segreto. Il cenote in cui mi ritrovo adesso è colmo dei più impensabili tesori e ricchezze di ogni epoca e civiltà. Sento chiaramente la voce della Dea che mi ricorda con calma perentoria di portarli fuori, a galla, in superficie. “Cosa stai aspettando? Porta fuori il Tesoro che è in te…che sei TU!” mi grida con tenerezza e determinazione insieme. Ma io non posso. Sono bloccata, irrigidita, non riesco a muovermi né a respirare. I dubbi, i giudizi e la paura mi sconquassano tutti assieme.     In quello stesso istante, arrivano rapidi come furetti i mostriciattoli voraci, le larve raggrinzite che mi si aggrappano addosso imploranti: urlano, piangono, strepitano. Vogliono me, vogliono la mia resa totale, e non importa il gioco di domanda-risposta che tento di instaurare nell’ennesimo, futile tentativo di patteggiare. Non importa le storie di dolore, mie e loro, passate e/o presenti, vere o presunte. Tutte scuse. Stratagemmi e appigli sempre più scivolosi. Ma io non voglio arrendermi. Non posso. E perché dovrei, poi? Eppure non esiste una risposta, e neppure una domanda, in fondo. Alla fine. Nulla di tutto ciò, nulla e basta. O ti butti o resti. È semplice. E così semplice, davvero…se ci pensi. Oppure se non pensi affatto. Accidenti. Ora sono proprio stufa. Di tutto. Di me, delle battaglie, dei tentennamenti, dei dubbi, dei pretesti di ogni genere. Ora basta nascondersi. Ora basta!
Così decido di buttarmi. Mi lancio, mi lascio andare, mollo ogni presa, lascio tutto. Tutto. Non c’è altro modo, è la sola via possibile. “Quando decidi di buttarti, l’Angelo ti salva”, mi sovviene improvvisamente questo pensiero al quale mi àncoro con fede, per non farmi prendere dalla paura che ancora mi insegue.
Allora mi lascio divorare, tutta intera, e questa volta con convinzione totale. Nonostante lo strazio, ad ogni morso di attaccamento inutile, ad ogni brandello di giudizio strappato, sento crescere sempre di più in me la Forza ed il Coraggio che mi sostengono, sento vibrare sotto la pelle e pulsare nelle vene la certezza della bontà della mia scelta. Quando i mostriciattoli arrivano al mio cuore – il punto cruciale – mi fermo in dubbio, per un attimo. Un battito, un fremito. Poi, mi arriva come in volo una voce angelica: “Cosa te ne fai di un cuore pieno di paura?”. Un altro fremito, questa volta più scardinante. Improvvisamente, mi sento riportata al centro di me da una forza determinata e potente che non conosce esitazioni. Allora, non permetto loro di venirselo a prendere, no. Non glielo concedo riluttante e disperata come se non avessi altra scelta, come se fossi obbligata, come se fosse un dovere. No. Chiamo a raccolta con tutta me stessa la Forza Rossa e l’audacia del Grande Guerriero Ogùn, sfodero la Spada di Potere e dichiaro il mio Intento Supremo che mi libererà: io decido consapevolmente e scelgo di prendere il mio cuore fra le mie mani per offrirlo, volontariamente. Anzi, nel momento stesso in cui lo penso soltanto, mi ritrovo davanti all’enorme Quercia Sacra col mio cuore pulsante sul palmo di mano in segno di offerta, di sacrificio totale e assoluto. Fino in fondo, con tutta me stessa, senza riserve. Ora la paura è sparita, rimango io con tutta la mia risolutezza e fermezza ad essere ciò che sono, così come sono. Nel momento esatto in cui sento questa serena certezza, avverto, per una frazione di secondo, palpitare in mezzo al mio petto, con fervore incontenibile, un Cuore rigenerato.
Dopodiché il nulla, il vuoto, l’oscurità.
Adesso vedo, sento, so: sono un minuscolo seme al centro del grembo della Grande Madre Terra, dalla quale tutto nasce e a cui tutto ritorna. Sono così piccolo…eppure così tenace e luminoso. Risorta come seme, come embrione, come genesi, come principio eterno rigenerante e rinnovatore, ad ogni ciclo, ad ogni battito.
Seme accudito, nutrito e protetto. Amato. Ora e sempre. 

Chissà quanti e quali frutti darà, un giorno, questo potente seme numinoso…” sussurra al mio cuore nuovo la voce di Nanà.