Il puledro e la sua giovane madre, entrambi dal mantello bianco-sporco, hanno nei movimenti una inusuale grazia imbavagliata che magnetizza l’attenzione ma che non chiarifica.
Anzi, confonde ancor di più; eppure non si può proprio evitare di esserne rapiti.
C’è una scenografica festa allo stadio: un folle circo ed una caleidoscopica giostra di cavalli al centro dell’arena.
In mezzo alla folla festante, la giovane donna è sorretta per entrambe le mani da due aitanti uomini proprio niente male che le stanno ai lati come guardie del corpo totalmente inadeguate. Saltano come burattini di legno morbido e cantano ignari…
Vi è qualcosa di sinistro nello sguardo della fanciulla, di tragico e sgomento. Il suo è uno sguardo liquido perennemente in bilico fra la terra in autunno ed il verde selva con l’aggiunta di guizzi biondi – sguardo che proviene da molto lontano, da un altrove che se non ci sei già stato almeno una volta non potrai mai riconoscere, ma che ti inquieta fino alle ossa. Pare una bambola di pezza apparentemente in-animata che ha sbagliato palcoscenico e gioco.
Sento la voce della bambina e quella della seduttrice, e spesso coincidono.
Continuando a compiacere gli altri si finisce solo per appesantirsi come grossi grassi budini indigesti, snaturandosi e allontanandosi da Sé.
L’unica vera debolezza è che tutti abbiamo bisogno di qualcuno e di sapere che non siamo soli. Nessuno è chiaramente un continente chiuso su se stesso, ma la capacità di saper individuare le sole isole degnamente affini fa la differenza. E’ un lavorìo lungo una vita, duro e pernicioso come gli impervi sentieri andini, e che spesso gonfia il cuore di dolore dolciastro come sangue fresco rubino.
Così, non ci resta che riconoscere che nel viaggio siamo davvero da soli
anche se non siamo soli.
E annunciare senza alcuna anestesia sulla ripugnante brutta faccia butterata della cattiveria in persona sì stupidamente sudicia e suicida ciò che sinceramente pensi di lei è soltanto la prima conseguenza; subito dopo ti alzi con necessaria lentezza plateale e te ne vai – passo irlandese – rompendo ogni aspettativa, ogni previsione, ogni schema, ogni regola. Catene inutili e fasulle. Senza nemmeno sbattere la porta. Ecco.
Spada di Giustizia e Verità. Sollievo e liberazione. Ancora una volta, eppure è sempre la prima volta.
La vera creatività è un ampio cenote segreto colmo di sole e acqua freschi, profondi come un pozzo di terramare senza inizio e senza fine.
E’ una creatività che, a tratti, stilla spiragli di luce pura
come un imperturbabile rubinetto che perde random oppure di domenica mattina presto, molto presto.
Sono come mille spilli taglienti questi lampi di sole che filtrano d’improvviso dietro la tenda
bianco-sporco della ampia finestra di campagna, bagliori che inebriano e procurano a sorpresa una seria insolazione. In parte ricordano il Fuoco che nessuno sa o vuole accendere veramente, tranne te, che sai e puoi. Veramente.
Ri-trovarsi finalmente e profondamente soli sopra quel letto a castello di paglia imprestato ai viandanti, mentre al di là nelle altre stanze sono tutti a coppie o a gruppetti da camerata. “Papà, perché io che sono piccola devo dormire da sola, mentre voi che siete grandi dormite insieme nella stessa stanza e vi fate compagnia?!” – la bambina promettente dimostra fin da subito d’essere interrogativo inopportuno e creatura osservatrice in modo altro, da sempre. Rosea piccola spina fertile nel fianco degli ottusi non-vedenti-non-udenti, ma gratuitamente-starnazzanti.
Il cuscino con effigiati Il Sole da un lato e la Luna dall’altro,
e – mannaggia – è sempre la parte Lunare che lei sceglie senza esitazione, palesando così una chiara e naturale predisposizione notturnoscura e al mismo tiempo una sottile ma ben definita mancanza di equilibrio. Forse.
Come una prolungata e affilata linea che divide in modo netto il colossale e abissale crepaccio – ricorda il canyon, quello grande of course – ma di cui ci si accorge solamente quando si è ormai pericolosamente troppo vicino.
“La Storia Infinita, ricordi? È così, proprio così, in fondo”. Intorno alla sua testolina capricciosamente ricciuta di temibili aspidi rilucenti aleggiano la voce e gli indizi che essa rievoca attraverso quella storia.
Fulgidi cuori di Bambini speciali quanto incompresi, unici ambasciatori di quel MondArcano accessibile solamente a pochissimi: ai misteriosi prescelti, agli auto-eletti ricercatori d’azzardo, ai veggenti solitari, agli indomiti enigmi esiliati, a tutte le anime perse e rinnegate, i cosiddetti divergenti moderni.
“Per favore, smettila di tentare di unirti al branco dei Coyote
Tremanti, lo capisci che tu non sei come loro e che mai lo sarai?!” Urla moniti sussurrati la vecchia dalle lunghe trecce bianco-sporco.
“Inevitabilmente loro ti temono, perché loro non sono come te: tu sei un LuPo, IL Predatore, accidenti,
te lo vuoi ficcare in quel teschio duro oppure no?!
Sai, a volte mi ricordi quell’ anatroccolo arruffato e scuro che pensava tanto ingenuamente che la sua famiglia fosse un gregge di stolte e crudeli papere petulanti, che ridere… ma la codardia e l’intelligenza suprema non sono mai andate d’accordo, non te ne sei ancora accorta cara? Su, alza il tuo bel musetto all’insù, puntalo verso il nord – specialmente quando è sera fonda e ti è più facile scorgere la Grande Ruota a picco sul cranio celeste – e vedrai finalmente la tua vera famiglia d’appartenenza che si libra regale e maestosa in alto, in alto, sempre più in alto…”
Ecco che di punto in bianco (-sporco) m’imbatto nel pocopiù(omeno)cheventenne dai capelli seducentemente indy, dalla bellezza incantevole, selvaggia e – ancora per un attimo – inconsapevole da commuovermi: assomiglia proprio al musicista di quel film e pure ad un vivace e vigoroso mustang delle praterie.
il suo fresco aroma invitante è talmente irresistibile che gli si può anche perdonare la sua pericolosa arroganza di artista… hmmmm sono indecisa se mettermi a piangere piano – sogghignando di nascosto come un gatto con la piccola preda che solo temporaneamente ha graziato generosamente, mentre mi limito a fantasticare su ciò che potrebbe –
oppure se papparmelo in un sol sospiro alternando lentissime masticazioni di puro piacere a trangugiate ingorde e fameliche.
Ma, questa volta, so già in anticipo quale sarà la mia scelta.
L’alba e i sogni. Il momento perfetto. Il passaggio segreto privo di mappa. La fessura fra il mondo delle lucciole e quello dei pipistrelli, spazi mai separabili fino in fondo né in sonno né in veglia, universi che si sovrappongono e fondono e confondono: melt into each other’s breathe.
E tutto l’indicibile.






Non c’è più nessuna capanna né pescatore. Adesso si ritrova sulla spiaggia di un’Isola lontana come una Donna bellissima, fiera, magica. E’ meravigliosamente nuda, ammantata parzialmente da una pelle di foca fatata. Cammina celere con la testa alta, a grandi falcate, con sicurezza e audacia ancestrali. Questa nuova donna flessuosa e sensuale, con gambe poderose e mani sottili, segue l’odore dell’acqua pura, fino a giungere presso una misteriosa cascata nel cuore rigoglioso della foresta dell’isola. Mentre lascia che il fresco getto della Cascata Purificatrice Oxùm accarezzi e rigeneri il suo creativo corpo morbido e accogliente, ecco sopraggiungere una strana creatura a dorso di un energico ippocampo. E’ alto, vigoroso, con la pelle scura, vestito di foglie e pelli, sulla schiena arco e frecce inseparabili. Si riconoscono al primo sguardo. E’ Oxossi il Principe dei boschi, protettore di tutte le creature della Flora e della Fauna. Le anime-gemelle ritrovate celebrano l’incontro astrale con un ricco pasto di frutti dissetanti e pane caldo di sole, abbandonandosi ai piaceri della carne e dello spirito. Poi, insieme, prendendosi per mano, corrono veloci e agili come cervi nobili verso un altro luogo misterioso che li chiama ineluttabilmente.

Forse hai scelto la strada più difficile, chi può dirlo? Ma ora il tempo della sofferenza è terminato. Adesso può iniziare il tempo della guarigione e della gioia, se vorrai. Dipende da te, scegliere. Sempre. Io posso aiutarti, come ho sempre fatto, fin da quando eri una piccola bimbetta che ne combinava di tutti i colori, straripante di gioia e di vitalità, che svolazzava come una farfallina e si arrampicava dappertutto come una gatto selvatico. Puoi tornare ad essere felice come allora, angelo mio. Ricorda. Vai e recupera la tua Voce! Fammi sentire di nuovo il potere della tua voce, mostrala al mondo, canta la tua Anima tutta, intera e potente come è sempre stata! Canta, bambina mia, mia antica Guerriera dai fiammanti capelli di fuoco, e non smettere mai più!”
Poi, con sempre maggior forza, scardinò e ribaltò qualunque realtà incontrasse. Oggetti, membra, pensieri, emozioni. Tutto veniva sconquassato dalle terribili urla del vento liberatorio. Niente veniva risparmiato dalla sua furia impetuosa, dalla sua urgenza incontenibile, dal suo ciclone prorompente. Niente. Tranne la donna, che rimaneva dritta in piedi al centro della stanza, con le vesti e i lunghi capelli che vorticavano furiosamente ovunque, di fronte a lei soltanto il suo ritrovato pavone che le infondeva coraggio fissandola irremovibile. Ma lei teneva gli occhi chiusi. Rimaneva salda, nonostante la tempesta urlante, con una concentrazione e una intensità palpabili. Stava ricordando, stava radunando tutta la sua forza, la sua fermezza, la sua audacia, stava richiamando a sé tutto il suo antico potere. E poi, quasi come se lo slancio del vento che le rombava tutto intorno le avesse dato il “la” in un ben preciso momento, aprì le sue labbra rosa e intonò un canto.
Nel momento stesso in cui l’intuito guizzò lontano dal pensiero e vicino al cuore, ecco che apparvero. Un numero incalcolabile di sfavillanti farfalle multicolori, di tutte le specie e dimensioni. Quali colori, quale grazia, quali danze, quali canti! Adesso tutto era tornato perfetto, come era all’origine. La giovane si specchiò nello sguardo del pavone – che in tutto ciò le era sempre rimasto accanto – e quello che vide non la meravigliò affatto: una bellissima e valorosa amazzone dallo sguardo fiero e nobile e dal sorriso dolce e odoroso come una viola di primavera. Circondata dalle migliaia delle sue anime sorelle. Questa affascinante e ardimentosa donna gettò indietro la folta chioma sanguigna e trillò in una risata forte e melodiosa. Lunga e liberatoria. Profondamente liberatoria.
Ma questa è un’altra storia.

C’era una volta un antico Pozzo, in mezzo ad un dimenticato deserto senza nome. Una voluminosa e solida lastra di pietra sigilla l’apertura del pozzo. Egli sa che lì sotto, proprio dentro al profondo pozzo, c’è la sua Anima. Sa che deve andare a prenderla, ma non è in grado di spostare l’ingombrante pietra: è troppo pesante. Tentenna nel dubbio e nello sconforto: “Forse sarebbe meglio arrendersi subito e rinunciare”, pensa. Ma non è da lui. Avrebbe soltanto bisogno di un piccolo aiuto, di un sostegno, di un conforto, di una pacca sulla spalla, per ritrovare la fiducia smarrita. Allora si ricorda della storia sulla Forza Salda del Cavaliere della GiustAzione Xangò che sta in piedi come una Montagna di Fuoco dal profondo…un enorme Vulcano sopito, ma attivo al tempo stesso. Così si ferma a respirare, chiudendo gli occhi. Lenti respiri profondi e ininterrotti. Va avanti e ci riprova. Il giovane Cavaliere riesce a spostare il lastrone di pietra, mentre un angolo della sua mente riflette solo per un istante che forse non è stato così difficile come pensava, in fondo. La parte più ardua, in verità, era proprio iniziare. Incomincia a scendere cautamente lungo la stretta parete del pozzo. E’ tutto intensamente buio, umido e fatalmente scivoloso. Ha una grande paura di cadere e non sa come fare a proseguire. Pensa che gli servirebbe un aiuto soprannaturale per non precipitare e spiccicarsi per sempre nel lontano fondo del pozzo! Simultaneamente, si ritrova in groppa ad un possente Drago Alato che è volato in suo soccorso, materializzatosi di punto in bianco. E’ il suo poderoso alleato e il suo prezioso compagno di avventura. Con lui ora non sente più l’odore della paura. Insieme scendono giù per il pozzo, una discesa ripida, sempre più oscura e scivolosa, che pare non terminare mai…ma finalmente toccano il suolo. Inaspettatamente, sono atterrati in una ampia Grotta, ricoperta di stalattiti e stalagmiti come una primitiva cattedrale sconosciuta. Al centro, vi è incastonata una pozza d’acqua color ocra, abissale e misteriosa, antica come la notte dei tempi. Coi sensi tutti, il cavaliere vede, sente e percepisce solo acqua e sole, assapora l’umore di terramare e si inebria del calore luminoso che proviene dalla pozza ancestrale. Come ubbidendo ad un comando silenzioso, il suo intrepido drago si tuffa con grazia infinita nel Lago cavernoso, con il cavaliere a cavallo della sua schiena. Nuotano nelle fluide profondità, seguendo e risalendo facilmente il corso del grande Fiume Sotterraneo, caldo come lava d’oro, in cui sono immersi. All’unisono provano una sensazione di benessere liquido fluente, come fossero un sol pesce fiducioso nel suo elemento naturale. Dopo un tempo senza tempo durante il quale si lasciano trasportare dal flusso lavico scorrevole, emergono all’interno di un’altra grotta, ancora più ampia della prima. Qui, nonostante l’oscurità, aguzzando la vista dell’invisibile riescono a scorgere da lontano un imponente Regale Castello medievale ornato da numerose torri, guglie, pinnacoli e bandiere multicolori. La segreta fortezza sembra ergersi ai piedi di una vasta catena montuosa, circondata da secolari foreste oscure. Tutto è come avvolto e offuscato da una nebbia impalpabile, una sorta di fumo biancastro come la bruma del mattino alla prima alba. E’ bellissimo, pare un sogno: il suo Sogno. Non sa perché, ma il cavaliere ha la certezza di sapere che tutto lì dentro giace immobile come il marmo da tempo immemore: ogni singola pianta, animale, persona del castello è addormentata, forse a causa di un fatale incantesimo, di un passato maleficio. L’eroico drago si lancia al galoppo-volo, sempre con il giovane come cavaliere, verso quella visione ammagliante. Quando si avvicinano al castello, si ritrovano intrappolati in mezzo ad un fittissimo ginepraio di grossi rovi ed enormi spine acuminate. In quell’istante, il cavaliere si accorge di impugnare una magnifica spada di straordinario potere: è la Spada di Giustizia & Verità. Con essa, lui ed il suo fedele drago si fanno strada liberandosi degli intricati rovi. Sono veloci, decisi ed abili, tuttavia durante l’intensa bonifica una grossa spina graffia intimamente la guancia sinistra del giovane, facendogli sgorgare copioso Sangue scarlatto. Anziché spaventarsi e bloccarsi, egli d’istinto beve avidamente il suo stesso sangue, dolce e splendente come un rubino prezioso. Ora si sente più determinato e coraggioso che mai e insieme al suo inarrestabile destriero riesce a raggiungere il castello incantato. Qui si trovano di fronte ad un imponente ponte levatoio, ed il castello è circondato e protetto da un profondissimo fossato, brulicante di mastodontici alligatori con scaglie acuminate come lame: sono i guardiani della soglia del reame. A quella spaventosa vista, il cavaliere, improvvisamente affranto, barcolla nell’incertezza, quand’ecco una voce telepatica arrivare dal suo valoroso drago: quelle creature terrificanti non sono loro nemici. Anzi. Immediatamente, li vede allinearsi con precisione e velocità uniche uno dietro l’altro, a formare una lunga scala che dal fossato si solleva contro le prominenti mura del castello fino alla cima, permettendo così ad entrambi di salire lungo i loro dorsi corazzati, luccicanti come smisurati diamanti. Drago e cavaliere raggiungono così il torrione più alto e si ritrovano sulla sua sommità, travolti e scossi da un violento vento impetuoso ed incessante. Socchiudendo gli occhi con resistente tenacia, riescono ad intravedere una Bandiera, la più elevata e maestosa, quella più solenne di tutte le altre. Il suo colore è di un tono purpureo denso e brillante come il medesimo rubino del sangue che scorreva poco prima sulla guancia ferita del cavaliere. Al centro vi è effigiato un regale Cuore D’Oro, circondato da una sottile corona irradiante affilati raggi di sole. Col naso all’insù, il cavaliere tenta di afferrare il senso e la seducente magnificenza di quell’emblema, quand’ecco comparire d’improvviso accanto al vessillo – come una magica apparizione sospesa per aria – un’enorme Freccia Verde fatta di rami e foglie dell’Albero Sacro delle ForestArcane. Naturalmente indica una direzione ben precisa e, naturalmente, il cavaliere ed il suo nobile alleato la seguono prontamente. Essa li conduce nella segreta stanza della torre più inaccessibile, diventata ormai invisibile ai non-degni. Al centro dell’ampia camera, illuminata dalle alte finestre a volta, giace la bella addormentata. E’ dolcemente distesa sul suo candido e immacolato letto: il suo sepolcro ed il suo trono al contempo. Il fidato drago si avvicina con deferenza alla sacrale tomba e lì accanto si blocca chinando il capo; il giovane smonta dalla sua schiena e lentamente fa il giro del talamo fino a ritrovarsi dall’altro lato. Si ferma. Osserva con rispettosa attenzione. Poi, come in un rituale sapientemente padroneggiato in un tempo remoto, incomincia a sciogliere i lacci che tengono legati stretti i piedi della bella dormiente. Di seguito, si dedica ai polsi imprigionati allo stesso modo. Una volta terminato il suo compito di scioglimento, si rivolge al collo della Principessa. Qui non vi trova capestri, bensì una spessa catena di metallo chiusa da un pesante Lucchetto d’Argento. Si sofferma. Osserva di nuovo. Un battito di esitazione. Pacatamente, una lontana consapevolezza gli sussurra di frugare nelle proprie tasche. Immediatamente trova ed estrae una robusta Chiave d’Oro. La solleva con sicurezza, sebbene abbia l’impressione che le sue mani stiano tremando impercettibilmente, almeno un poco. Il cavaliere infila la chiave nella serratura e gira, risoluto.


